Questo articolo sarà diverso da tutti quelli che ho scritto finora. Non vi racconterò che escursione ho fatto, non vi dirò dove sono andato, nè come arrivarci. O meglio: vi dirò dove sono stato, ma è un luogo che non troverete in natura. Oggi vi racconto del trekking che ho fatto… dentro di me, il mio primo trekking in solitaria. Può sembrarvi strano, ma da quando ho iniziato a fare trekking non ho mai camminato da solo. Mai. Un po’ perchè penso che il bello del trekking sia proprio quello di poterlo condividere con altri. E un po’ perchè, in fondo, non ho mai avuto il coraggio di stare da solo e uscire dalla zona di comfort. Ma partiamo dall’inizio…
Non si può sempre trovare qualcuno con cui camminare, facciamocene una ragione. E così il 13 ottobre 2020, all’età di 29 anni, ho pensato: “Sai che c’è? Io vado da solo“. Ho preso lo zaino con il cibo, un pile e una borraccia d’acqua e sono partito. Non avevo bisogno di andare chissà dove, un breve trekking poteva bastare. Dopotutto, non era tanto importante la destinazione, quanto il tragitto da percorrere fra me e me. Così ho deciso di raggiungere il Passo del Faiallo in macchina e da lì partire per un trekking sul Monte Argentea, nel Parco del Beigua. Non vi racconterò come arrivarci (lo farò in un articolo a parte), ma com’è stato fare trekking in solitaria per la prima volta.
Trekking in solitaria e la… “teoria dell’iceberg”
Non ho mai avuto paura della solitudine, anzi. Credo che in certi periodi della vita questa non possa che fare bene. Tuttoggi non ho problemi a uscire di casa e andare a passeggiare da solo per la città. Uno dei miei viaggi in Italia, a Urbino, l’ho fatto da solo e lo ricordo come il viaggio più bello che io abbia mai fatto. Ma vi parlo di anni fa, allora ero diverso. Da tempo il lavoro, lo studio, la voglia di circondarmi di amici e, perchè no, anche una certa sicurezza emotiva ritrovata, hanno fatto sì che io perdessi l’abitudine a stare da solo, ad arrangiarmi, a pensare solo a me. In questo senso fare trekking in solitaria è stato come tornare indietro nel tempo con l’io di oggi. Una roba alla Ritorno al Futuro, in pratica.
Il trekking è una pratica sportiva che da sempre punta verso l’alto, è una tensione dell’uomo a raggiungere qualcosa di più grande. Ma non penso si debba andare sempre e solo verso l’alto nel trekking: camminare in solitaria, concentrarsi sui propri pensieri e sensazioni è andare anche verso il basso, a parecchi metri “sotto il livello del mare”. Perchè, come diceva il caro vecchio Freud: “La mente è come un iceberg, galleggia con un settimo della sua massa al di sopra dell’acqua”. Emozioni, istinto, impulsi e intuito si trovano lì.
Camminare in solitaria: com’è stato affrontare le proprie insicurezze
La compagnia degli amici durante un trekking regala senza dubbio gioia e spensieratezza, ma dopo aver camminato da solo posso dire questo: camminare insieme ci rende più sicuri, c’è poco da fare. Siamo animali sociali e sentiamo più forte la possibilità di sopravvivere anche grazie alla cooperazione tra pari. Lo notavo continuamente durante il mio trekking: ad ogni cartello, ad ogni bivio c’era una decisione da prendere, un ragionamento da fare senza l’aiuto di nessuno. In compagnia avrei potuto confrontarmi con gli altri sulla direzione da prendere, condividendo nel caso la delusione e la paura di uno sbaglio, come ho fatto sull’Alpe di Succiso o a Punta Manara. È stato strano, ma decisamente piacevole, arrivare alla fine del percorso consapevole di aver provato emozioni che non sperimentavo da un po’.
Non sono andato sull’Himalaya è vero, ero pur sempre sul Monte Argentea. Ma credo che non serva per forza scalare l’Everest da soli per risvegliare in noi quel senso di insicurezza e paura. A volte si ha la sensazione che queste emozioni negative svaniscano crescendo. Non la penso così: da adulti semplicemente capiamo quello che è più vantaggioso per noi e lo mettiamo in pratica, scegliendo di non sperimentare intenzionalmente paura e insicurezza e interrompendo di fatto quel processo di apprendimento e miglioramento tanto utile da bambini.
Con questo non voglio consigliarvi di improvvisarvi MacGyver e partire per un trekking senza sapere la strada, senza cartina e senza prepararvi bene per questa esperienza. Vi svelo un segreto: ero così abituato a camminare con gli altri che al ritorno dal Monte Argentea ho perfino sbagliato strada, salvo poi accorgermene e ritornare sui miei passi. Perchè la parte sommersa dell’iceberg sarà pure una figata, ma non dimenticatevi che il Titanic ci ha sbattuto contro ed è affondato. Magari potete rifare da soli un trekking che avete già fatto in compagnia. Sentirete la differenza e imparerete più di quello che credete.
Trekking in solitaria? Preparatevi a parlare da soli e… con la natura
Se anche voi volete partire per una camminata in solitaria, sappiate che dopo un’oretta di cammino inizierete a parlare con voi stessi, a farvi i vostri discorsi, a darvi ragione a volte. Almeno, a me è successo questo. A volte i pensieri diventavano parole, mentre alcuni rimanevano nella mente sbattendo di qua e di là come un albero in preda al vento. Pensavo a me, alle persone che avrei voluto al mio fianco, ai miei progressi, ai miei insuccessi, a questo blog, ai motivi che mi avevano spinto a mettermi alla prova dopo tanto tempo.
Penso che il trekking in solitaria sia come un pendolo, quello tirato in ballo anche dal filosofo Arthur Schopenhauer (spero che lui e Freud non si stiano rivoltando nella tomba). Se per Schopenhauer la vita è come un pendolo che oscilla tra dolore e noia, passando attraverso la fugace illusione del piacere, il trekking in solitaria è un pendolo molto più gioioso, che per me oscillava tra un “ok, ora dove devo andare?” e un “che meraviglia la natura!”. Il dilemma esistenziale della direzione da prendere era però solo temporaneo: gran parte della mia attenzione era catturata dalla bellezza della natura. Mi sentivo allo stesso tempo indifeso e protetto in mezzo al sentiero.
Insomma, questo trekking in solitaria mi è servito. Più di quanto credessi. È servito a fare ordine nella mia testa, troppo incasinata e distratta per la maggior parte del tempo. È servito a chiarirmi le idee e ad aggiungerne di nuove, a capire che devo ancora fare tanta strada. Mi è servito a capire che le persone sono la ricchezza più grande che abbiamo, che nella natura non si è mai veramente soli e che le sfide insuperabili sono quelle che non abbiamo il coraggio di affrontare.
Mi è piaciuto questo tuo articolo! Io ho fatto la stessa cosa facendo un pezzo di alta via da pratorotondo ed è stato davvero bellissimo. Condivido in pieno molte tue riflessioni. E il tuo blog mi piace! Grazie!
Grazie a te Samantha per le belle parole 🙂 Sono felice che il mio blog ti piaccia, ho dato uno sguardo anche al tuo sito ed è veramente interessante! Continua a seguirmi per scoprire nuovi itinerari e avventure! 😉